L’ eredità di Dada

mama giacomettiheartfield 2Un’ aspetto della negazione dell’ arte manifestatosi nella cesura operata da Dada si presenta in due artisti messi a confronto in termini di analogia semantica, da una parte Hartfield con il collage “Padri e Figli 10 anni dopo” del 1924, dall’ altra “Oggetto Invisibile” del 1934; idealmente il punto in comune si può individuare in un evento avvenuto nel 1914, la prima mostra di Brancusi a New York, la cui opera si incentra sul Primitivismo.

La relazione in termini è stabilita: in “Oggetto Invisibile” una donna siede su di una sedia struttura, il volto una maschera africana, le gambe un blocco di bronzo a determinare un parallelo con una performance Dada di Hugo Ball al Cabaret Voltaire del 1916, egli stesso rivestito da un cartone di colore blu intenso, come fosse la colonna di un obelisco …

Hartfield dieci anni dopo la prima mostra di Brancusi oltreoceano, assembla “Padri e Figli 10 anni dopo”, dove l’ autore critica apertamente il conflitto conclusosi nel 1918.

Se rapportiamo l’ opera di Hartfield alla “sfera dell’ arte” di Giacometti possiamo dedurre e capire il significato dell’ origine dell’ idea legata ad una morte dell’ arte, in Hartfield non evento pensato come valore assoluto ma prototipo di morte standardizzata e riproposta in una fila ordinata ed in prospettiva, è il sentimento del futuro. L’ esercito delle morti della rappresentazione, le quali hanno generato l’ esercito dei figli arruolati in una guerra, giocata sul piano estetico, i quali manifestano in una sfilata più o meno consapevole della propria origine e con a capo un militante di grado superiore, piantato in primissimo piano come la dogmaticità propria di un obelisco.

Hartfield concretizza la negazione dell’ arte, l’ arte per l’ arte, alla base delle pseudo-teorizzazioni di Dada in quanto esse non vogliono essere., non vogliono essere neppure il manifesto delucidativo e propositivo del movimento.

In questo Dada libera l’ arte dal suo retaggio di carattere religioso e Giacometti concretizza in termini scultorei l’ aspetto forse più drammatico legato alla rappresentazione.

“Oggetto Invisibile” del 1934 si dispiega su più fronti: la maschera ricorda la scultura africana il cui significato è sostanzialmente spirituale, evocativo, riguarda espressamente la rappresentazione, nella nostra cultura affiliata al teatro. Se da un lato l’ arte contemporanea ad un certo punto si scinde dall’ unitarietà rappresentativa legata alla sfera della spiritualità dell’ arte religiosa, dall’ altro la progressione che la vede avanzare nel modernismo, oltre le avanguardie, nella contemporaneità, al tempo assiste all’ involuzione in termini di acquisizione culturale, per regredire fino alla radice della cultura visiva generatrice dell’ espressione abstracta nel linguaggio dall’ origine africana; alla base della statua sta la solidità di un blocco di bronzo a fondamento sia della raffigurazione che dell’ articolazione del linguaggio prima simbolico nel geroglifico, poi ieratico, parlato-scritto-tramandato, ricorda la configurazione prima estesa all’ obelisco come forma rappresentativa strutturalmente dogmatica, incidente il terreno come attraverso la forma abstracta il linguaggio, incidente le possibilità di governo di una società organizzata; la statua presenta una forma antropomorfa e alla donna corrisponde la capacità di generare, dove il seno diviene simbolo di maternità, scisso dalla rappresentazione primitiva legata alla venere paleolitica, come ora scisso risulta il concetto rispetto alla materia ad esso correlata nel paleolitico che vedeva la convergenza perfetta concreta-abstracta nell’ opera frutto di espressione primitiva. La configurazione della maschera nell’ opera di Giacometti risulta un elemento giustapposto a stabilire la regola di un discorso visivo, la stessa cosa vale per la capacità di procreazione intesa in termini iconografici, la quale sottintende la possibilità di rigenerazione dell’ arte; la donna detiene tra le sue mani affusolate un oggetto, ma non si tratta di un oggetto qualsiasi, esso corrisponde ad una sfera materialmente assente, una sfera ideale che non tocca di conseguenza l’ aspetto fisico della riprocreazione, la rigenerazione di sé. E’ la configurazione estrema abstracta corrispondente alla sfera dell’ arte come fatto materiale relativo allo spazio, nell’ immaterialità essa diviene espressamente concettuale, corrispondente lo spazio stesso, divelta l’ allegoria rappresentativa il valore di per sè concetto; la figura femminile risulta seduta su di una struttura ridotta ai minimi termini formali, come fosse la rappresentazione concreta della gabbia logica alla ragione, su cui poggia necessariamente il generare creativo proprio l’ arte, essa si fa struttura portante, configurazione fondamento all’ espressione del concetto, sua manifestazione fenomenica.

La negazione della materia scultorea si manifesta nell’ opera di Giacometti dove è la stessa luce ad essere negata in una poetica non propriamente scientifica in quanto essenzialmente poetica, passata però per l’ esperienza, passaggio che corrisponde teoricamente all’ articolazione tra oggetto materiale-esperienza-concetto. La negazione dell’ arte diviene strutturale, di un segno negativo come fosse materialmente il negativo della carne, l’ ombra della materia, per cui immateriale e di conseguenza possibile espressione materiale concettuale.

Giacometti sviscera il concetto espresso da Hegel e lo materializza fisicamente nella negazione della carne, dove l’ elemento portante diviene la linea continua nell’ essenza della sua fisicità immateriale.

Il percorso a ritroso di Giacometti che dall’ esperienza surrealista approda alla figura antropomorfa, potremmo dire che dall’ origine della scultura africana, gli permette di intraprendere un discorso legato alla struttura, intesa come forma di razionalizzazione della forma, espressa dall’ elaborazione di carattere concettuale nella traduzione materiale di un pensiero astratto, regredisce alla struttura come elemento stesso dell’ aspetto antropomorfo la scultura.

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